Diverse le reazioni dei legali che hanno impugnato la legge. “Siamo soddisfatti, il governo è stato sconfitto” dicono Felice Besotri, Michele Ricciardi e Michele Pennino. “Non si può andare a votare subito a meno che non si vada a votare con due leggi non omogenee su questioni essenziali, come soglie d’accesso e coalizioni”. “Abbiamo ottenuto il minimo indispensabile in luogo del massimo che sarebbe stato possibile”, dichiara invece Vincenzo Palumbo, secondo il quale però “si è aperta la strada a un precedente importantissimo per insorgere contro una futura legge elettorale che mettesse in discussione il diritto costituzionale al voto”.
Il dato di fondo è che i due sistemi, quello per le elezioni della Camera e quello delle elezioni del Senato, restano dissimili, ma lasciano un assetto funzionante, ha detto la Corte. La differenza maggiore è data dal premio, che l’Italicum, destinato a eleggere i deputati, mantiene, e il Consultellum, il sistema uscito dalla sentenza della Consulta sul Porcellum nel 2014 e valido per i senatori, non ce l’ha. Diverse anche le soglie di accesso, differenziate e graduate nel Consultellum; unica, 3%, per l’Italicum. E’ vero però che proprio le soglie del Consultellum, che è un proporzionale puro, fanno sì che al Senato se una forza dovesse ottenere il 40% può puntare al 47-48% dei seggi, quota non lontanissima da quella del 55% che assicura il premio alla Camera. Questo avvicina potenzialmente i due sistemi. Tecnicamente, quindi, in caso di voto anticipato, la legge c’è per entrambe le Camere. Ora la palla passa alla politica: la Corte ha fatto la sua parte. E lo ha fatto rigettando molte questioni sollevate sia dai ricorrenti sia dall’Avvocatura dello Stato, compresa una questione di fondo prospettata dalla difesa di Palazzo Chigi, che chiedeva il rigetto perché l’Italicum non è stato mai adoperato. No, la Corte è entrata nel merito. Ieri sera, alle 17, dopo l’udienza pubblica, i 13 giudici presenti hanno appena cominciato ad affrontare la questione.
L’esame è ripreso in mattinata alle 9.30 ed è durato circa sette ore, con una breve pausa poco dopo mezzogiorno per mangiare un panino senza spostarsi dalla sala della camera di consiglio. Si è proceduto per punti, spacchettando i temi: su nessuno c’era l’unanimità, ma la maggioranza era certa su tutti. Per questo si è scelto di non cristallizzare in un voto le decisioni, ma di certificare solo il risultato finale. L’idea, martedì, di comunicare un orario, le 13-13.30, per la decisione, che poi è slittata al pomeriggio, ha innescato qualche cortocircuito e ha fatto pensare a divisioni nette. Non è stato così, il clima è stato sereno. L’idea di affrontare il tema dell’allineamento tra i due sistemi non è stata percorsa, se non per un punto: il ballottaggio. Qui c’erano opinioni diverse sulla possibilità di sorreggerne o meno l’abolizione ricorrendo all’argomentazione che il doppio turno non è presente per il Senato. Alla fine, da quanto emerge, si sarebbe scelto di non farlo: il ballottaggio va via principalmente perché non è prevista una soglia minima di voti per accedervi e questo può alterare la reale rappresentanza. Il resto, se vuole, lo farà la politica. (Ansa)