ROMA – Confermata, dalla Cassazione, la condanna a otto anni di reclusione per lesioni gravissime a carico di Antonio Caliendo che il 12 maggio del 2013, per motivi “futili e abietti” di inescusabile gelosia “punitiva”, trascinò a terra la sua compagna Rosaria Aprea, miss di bellezza campana, e le diede un calcio che le spappolò la milza. Le motivazioni del verdetto della Suprema Corte – emesso lo scorso 16 dicembre – sono state pubblicate oggi dalla Quinta sezione penale nella sentenza 6892 che ha respinto tutti i tentativi dell’imputato di ottenere una riduzione della condanna inflittagli dalla Corte di Appello di Napoli, il 13 maggio 2015, e conforme a quella emessa con rito abbreviato dal gup. La difesa di Caliendo si è lamentata per il diniego delle attenuanti generiche e per l’entitĂ della pena, e ha anche chiesto che la gelosia “punitiva” dell’imputato – che in passato aveva giĂ picchiato la ragazza – non fosse considerata come un motivo “futile e abietto” che costituisce una aggravante, ma fosse valutata come gelosia “pura” che seppure collegata “ad un abnorme desiderio di vita in comune” non aggrava i comportamenti dolosi. Ad avviso degli ‘ermellini’, la Corte di Appello ha dato atto “in maniera esauriente delle ragioni per cui nel caso concreto la gelosia doveva essere intesa” come “punitiva” integrando “l’aggravante dei motivi abietti”. La Cassazione ricorda il “costate atteggiamento ossessivo da parte dell’imputato che per un consistente periodo aveva impedito alla donna di avere relazioni sociali, di frequentare amiche, di coltivare i suoi interessi e le possibilitĂ di lavoro, come nel caso della costrizione, ancora una volta violenta, ad abbandonare un concorso di bellezza”. “A completare la disamina del ricorrere della gelosia intesa come senso di proprietĂ della persona, la decisione di appello – sottolinea la Cassazione – ha ripercorso le terribili modalitĂ dell’aggressione che, in coerenza con i comportamenti precedenti, potevano appartenere solo a chi si fosse sentito, in sostanza, padrone della persona oggetto del suo desiderio”. La Cassazione inoltre, nel valutare la gravitĂ del comportamento di Caliendo, rileva che l’uomo aveva abbandonato la ragazza dopo averla picchiata giĂ a terra, nonostante fosse “molto dolorante”, non aveva manifestato alcuna “resipiscenza”, non aveva risarcito il danno ed aveva usato “crudeli modalitĂ ”. Questi elementi hanno impedito la concessione delle attenuanti generiche e legittimato la pena quasi ai massimi di legge. Nel cestino, è finito il tentativo della difesa di Caliendo di sostenere che alla ragazza poteva essere spuntata una “milza accessoria” e che quindi l’organo non era stato del tutto leso. (ANSA).