di Mariarosaria Alfieri *
Non guardate quella fiction….Arriva un forte monito da parte dell’antimafia. E non chiamate eroine, persone che hanno condiviso dinamiche di morte e potere. Chi propone modelli del genere uccide di nuovo gli innocenti ammazzati. In oggetto c’è la tanto discussa serie televisiva che vede protagonista Pupetta Maresca, icona della criminalità organizzata femminile degli anni ’50 interpretata da Manuela Arcuri. Assunta Maresca detta Pupetta è la ragazza che scandalizzò l’Italia di quegli anni per aver ucciso il camorrista Antonio Esposito ritenuto il killer di suo marito, altro boss, il noto Pasquale Simonetti detto Pascalone ‘e Nola. Proveniente da una famiglia di mala, legata successivamente ad un altro sanguinario padrino, (poi pentito), la signora ha collezionato lunghi precedenti, dall’omicidio all’associazione mafiosa, dalla frode alla truffa, dalla ricettazione al favoreggiamento personale, dalla bancarotta all’usura. Il ruolo della donna nella criminalità organizzata è stato a lungo sottovalutato sia dalle indagini che dagli studi criminologici. Ruolo a lungo subalterno e passivo ritagliato esclusivamente allo spazio domestico, soprattutto interpretabile attraverso lo schema antropologico del codice onorifico. Ma con gli anni le cose cambiano e cambia anche il modus vivendi della donna all’interno della società, di conseguenza anche in quella “onorata” di Cosa Nostra e nella malavita organizzata in genere. In base ad una consolidata tradizione storica il crimine organizzato ha una struttura prevalentemente maschile. Il maschilismo mafioso non è che il riflesso dello stesso radicato nel contesto sociale. Termina pertanto l’epoca delle madri e mogli silenziose, insieme ai parenti maschi è sempre maggiormente organizzatrice del racket del sistema di controllo del territorio. Non si trovano più donne dietro le quinte. Nel giro di pochi anni le donne si sono di fatto trasformate in vere e proprie leader di cosche mafiose. Vi sono in realtà, casi documentati di donne coinvolte in crimini mafiosi nel corso di tutto il secolo scorso. Nella prima metà del Novecento ad esempio, a Delia, nella Sicilia Meridionale, Maria Grazia Genova, detta Maragè viene arrestata ben 22 volte e nel 1949 fugge dal carcere prima d’essere processata per il ruolo svolto in una faida tra famiglie rivali in cui persero la vita oltre quaranta persone. Più recente è l’attività di Angela Russo arrestata con i figli e nuore perchè sospettata di essere corriere di droga tra Palermo la Puglia e il Nord Italia. Risale poi, al 26 maggio 2002 l’agguato avvenuto a Lauro di Nola, tra i Cava e i Graziano, un vero e proprio regolamento di conti in cui attivamente partecipano le donne di entrambi i clan. Nel conflitto a fuoco rimangono uccise Clarissa Cava, l’allora sedicenne figlia del boss Biagio, nonchè la moglie e la cognata. Storicamente le donne di Cosa Nostra e della ‘ndrangheta hanno il compito di veicolare ai figli e alle figlie il codice culturale mafioso, di dispiegare una pedagogia incentrata sulla trasmissione di disvalori come l’omertà, l’odio per gli sbirri. Il coinvolgimento femminile nella mafia è legata all’espansione del narcotraffico, alla necessità di investire i capitali illecitamente accumulati e all’esigenza di far fronte ai momenti di crisi interna dei clan, determinati dall’uccisione, dalla latitanza, dall’arresto dei capi. Il nuovo businesss degli stupefacenti produce quella sorta di “modernizzazione”che vede le donne utilizzate come corrieri, spacciatrici e organizzatrici del traffico di droga. Esemplare in tal senso è la storia di Angela, protagonista dell’omonimo film di Roberta Torre. E’ comunque opportuno ricordare che il codice d’onore di Cosa Nostra è molto meno flessibile di quello della camorra e della ‘ndrangheta, pertanto in Sicilia le situazioni di potere delegato alla donna sono più contenute. Le donne di mafia, di camorra, sono però dure, implacabili, si sanno imporre e far rispettare le regole quando i mariti o i fratelli sono in carcere, perchè oggi rispetto al passato il business continua, ma con una gestione del tutto femminile. Una gestione forse meno chiassosa, forse meno all’insegna di omicidi esemplari, ma non meno spietata. Il controllo del territorio passa alle donne della malavita. Sono loro che danno gli ordini ai “guaglioni”. E non dimentichiamoci che nello scenario della criminalità organizzata del sud questa è una novità dirompente. L’immagine della donna moglie del boss carcerato e/o latitante che vaga sconsolata tra un carcere di massima sicurezza e gli studi legali, tra un’aula di giustizia e una sala d’attesa, ha lasciato il passo ad una nuova figura. Le chiamano “donne supplenti” dei boss, ma non si pensi ad una supplenza estemporanea, bensì si tratta della consacrazione di un ruolo di comando femminile. Attente, precise, capaci di tenere ben salde nelle mani le redini dei clan, il tutto con scaltrezza e creatività tipica femminile. La moglie del boss latitante è l’alter ego del capo, ne assume di fatto il posto. Oggi non è possibile fare le indagini trascurando l’altra parte del cielo. Una volta che il capo clan torna, sono obbligate a lasciare il potere e tornare al loro posto. Ma spesso, soprattutto nei clan napoletani, capita che le donne non restituiscono alcun potere, assumendo una posizione di leadership intoccabile. Nel complicato intreccio della storia della propria vita, del resto, si può affermare che ogni donna ne è il personaggio principale. L’essere donna è un universo assai diverso e caleidoscopico, costituito da relazioni, emozioni, affetti, spesso anche da frustrazioni e umiliazioni, che recano con sè un notevole bagaglio di istanze sociali. Nelle relazioni quotidiane le donne mettono in luce per tutti la necessità di non perdere il particolare, ricordando il valore dei dettagli, l’importanza della memoria, dei gesti, dei tempi e minuti. Sono stati pertanto individuati cinque volti della camorra femminile, cinque ritratti diversi che si somigliano e che divergono costruendo un corollario unico di passione, amore e malavita. Si va dalla quattordicenne, uccisa per errore Annalisa Durante, passando per Rosetta Cutolo. Dalla moglie modello Immacolata Iacone ad Anna Carrino per concludere con la vedova bianca Pupetta Maresca. Donne che apparentemente non hanno nulla in comune, ma che sono state vittime di un sistema di strapotere e malavita. Alcune di esse del resto hanno avuto anche il coraggio di mettersi in discussione per i propri valori e per i propri uomini, molto più di quanto siano in grado di fare le donne esponenti della buona società. E’ evidente del resto che non esiste lo stereotipo di donna boss. Ognuna vive una condizione unica, singolare, diversa. Ciò che le accomuna è la lealtà verso le leggi non scritte della criminalità organizzata.
* criminologa, presidente associazione Criminalt