venerdì, Dicembre 27, 2024
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I turisti? In Italia preferiscono lo shopping alla cultura

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ROMA- I turisti, italiani e stranieri, nel visitare l’Italia spendono di piu’ per fare shopping che per visitare scavi e musei. E’ una delle spigolature che si possono trovare nel recentissimo Rapporto annuale Federculture, relativo al 2012: posto che il totale della spesa sostenuta dai turisti e’ di circa 72 miliardi di euro, con in cima le voci per alloggio (19 mld e 683 mln di euro) e ristorazione (13 mld e 930 mln di euro), in attivita’ culturali e di intrattenimento, che comprendono anche la fruizione dei beni culturali, sono andati 12 miliardi e 699 milioni di euro (17,5% del totale). A fronte di ques’ultimo dato, alla voce abbigliamento, calzature e altri prodotti manifatturieri sono andati 12 miliardi e 930 milioni di euro, ed alla voce agroalimentare 10 miliardi e 117 milioni di euro. Per un totale dedicato all’acquisto di prodotti ‘made in italy’ di 23 miliardi e 47 milioni di euro, con oltre 10 miliardi di euro di vantaggio per lo shopping sui consumi culturali. Un confronto sul quale l’Adnkronos ha interpellato Marco Polillo, presidente di Confindustria Cultura Italia, Giovanni Puglisi , presidente della Commissione nazionale italiana Unesco, e il critico Philippe Daverio. “Il marchio ‘Italia’ e’ magnificamente sfruttato, ma non per i beni culturali -commenta Marco Polillo- come dire che il ‘made in Italy’ e’ messo a frutto dalle aziende ma non dallo Stato. Eppure l’Italia ha un bacino di beni culturali straordinario, di grande attrattiva per i turisti, basterebbe metterlo a frutto. Certo i grandi marchi del ‘made in Italy’ compiono fior di investimenti pubblicitari, hanno precise strategie di marketing, di fatto si rafforzano uno con l’altro. Tutto cio’ e’ completamente assente per i beni culturali”.
Che i turisti siano contenti di spendere per una scarpa firmata o per una tavoletta di cioccolato di Modica e’ comprensibile, riportano a casa qualcosa di concreto. Che spendano meno per visitare i nostri musei anche questo, purtroppo, e’ comprensibile: il ‘prodotto’ beni culturali si ‘consuma’ sul posto, non puo’ essere portato a casa, quindi -afferma Giovanni Puglisi- si devono mettere i turisti in condizione di raggiungerlo e di fruirlo. Il problema e’ di infrastrutture, di servizi”. “Le infrastrutture al centro nord non sono sufficienti, al centro sud spesso non ci sono. Arrivare da Napoli a Pompei e’ complicato e faticoso, se poi si arriva e si trovano gli scavi chiusi perche’ i sindacati hanno proclamato un’assemblea sindacale, allora il turista si arrabbia”, prosegue Puglisi, tornando sull’idea, manifestata ieri di “applicare le regole della ProtezioneCivile” per sciogliere i nodi di Pompei, per sottolineare che “il solo a dolersene e’ stato, non a caso, un sindacato” e ribadire la necessita’, per Pompei, di “un commissario che abbia poteri di legge che vadano oltre le lungaggini della burocrazia, di quelli che chiamo i burocrati ammuffiti”. Puglisi concorda poi, con Polillo, sull’assenza di un serio marketing del brand Italia ma, sottolinea, “in una situazione economica drammatica come quella attuale e’ difficile chiedere al ministro dei Beni culturali, che ha difficollta’ a pagare gli stipendi degli operatori culturali, di investire in comunicazione come puo’ fare un imprenditore privato. Bisognerebbe fare di necessita’ virtu’ e aggregare la comunicazione sull’immenso patrimonio culturale italiano a quella assicurata, internazionalmente, dal circuito Unesco sui beni patrimonio dell’umanita’; bisognerebbe sfruttare meglio le risorse degli enti locali, che pure ci sono; bisognerebbe fare un piano strategico incrociando cultura e turismo, come gia’ ne sono state incrociate le competenze nelle mani del ministro Bray”.
“Non stupisce che scarpe e salumi vadano meglio, fra i turisti, di scavi e musei, del resto si dedicano con piu’ passione al commercio i negozianti di quanto gli assessorati alla cultura si dedichino alla loro missione”, interviene Daverio. Il critico sottolinea poi che “lo Stato non ce la fa a promuovere i suoi ‘prodotti’ per mancanza di forza, di idee, di risorse. Certo non e’ che al Ministero non dormono perche’ gli affari non girano, ma non e’ soltanto questione di volonta’”. “Serve una mutazione, e non puo’ essere semplicemente lo spostamento di competenze, ad esempio alle Regioni, perche’ negli ambiti in cui e’ avvenuta non ha portato nulla; ne’ puo’ venire -prosegue Daverio- dalla privatizzazione della gestione dei beni, perche’ i privati chiuderebbero tutto quel che non rende e punterebbero solo su realta’ come quella di Pompei, in versione lunapark con tanto di finti antichi romani a passeggio”. “Dobbiamo cercare la soluzione in una mutazione dell’opinione, in un cambiamento psicologico che disegni priorita’ diverse, insomma in quella cosa terribile che e’ la politica, ma in quella attuale non vedo segnali in questo senso. Tutto questo senza cadere nell’equivoco che i beni culturali servano a fare turismo: i beni culturali servono anzitutto a generare l’identita’ nazionale e psicologica dei cittadini. In Italia, comunque, sembrano non servire ne’ all’una ne’ all’altra cosa, nell’insieme i beni cultuirali servono piu’ che altro ai loro custodi, almeno qualche famiglia ha uno stipendio in casa”, conclude Daverio.

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