di Simone Perrotta (Maidirecalcio.com)
Da giovane emigrante italiano in Premier League a stellina del Chelsea, fino ai giorni nostri in cui Samuele Dalla Bona è un disoccupato di lusso ma col dente avvelenatissimo. L’ex centrocampista del Napoli si è confidato a cuore aperto in un’intervista a La Gazzetta dello Sport in cui non le ha mandate a dire a nessuno.
SENZA CULTURA– «Se potessi tornare indietro , resterei in Inghilterra per sempre– ha spiegato Dalla Bona- da noi il calcio è uno schifo. Soprattutto per quello che c’è attorno. Le pressioni, la mentalità. Io non sono allineato alla “cultura italiana” e ho pagato anche per questo. Mi è capitato di andare in ritiro a metà settimana per Napoli-Genoa o per Atalanta-Portogruaro. Se perdi una partita scattano le punizioni. E io mi sono sempre ribellato. Sono cresciuto in un Paese nel quale per Chelsea-Manchester United il ritiro cominciava quattro ore prima della partita. Terry non si è mai fatto mancare nulla, anche negli eccessi, eppure è stato capitano della Nazionale e del Chelsea. In Italia pensano di avere a che fare con de bambini, Mourinho aveva capito tutto. E’ un grande».
LA DEPRESSIONE– Infine Dalla Bona ripercorre la propria carriera, costellata da alti e bassi: «A Napoli stavo da Dio, fino alla promozione in A, ma con Reja il rapporto non è decollato. Non mi ha considerato più, senza un perché. All’Atalanta, invece, non c’ero più con la testa e fisicamente ho cominciato a non essere all’altezza. Nella primavera 2011, papà Luigi si è ammalato. I medici gli avevano dato cinque mesi di vita. Ero legato a lui, non sono riuscito a farmene una ragione. All’epoca ero all’Atalanta in prestito e avevo un altro anno di contratto col Napoli. L’ho strappato per una sistemazione più vicina, a Mantova. Poi a ottobre papà è morto e io non c’ero più con la testa, sono andato in depressione e, praticamente, ho smesso di giocare».