Era tutto pronto per il sogno di Diana. O almeno così pensavano tutti. Voleva laurearsi in lettere moderne e martedì scorso quel giorno era finalmente arrivato. La data della cerimonia c’era, quella della festa pure. Ma a Diana mancava un esame, quello di latino. Lo sapeva lei, le sue amiche di corso. Ma tutto il resto del suo mondo, la famiglia, il fidanzato, quel tassello mancante lo ignoravano. E così, forse, Diana non ce l’ha fatta ad ammettere che il giorno successivo non ci sarebbe stata nessuna laurea. E si è uccisa, a 27 anni, buttandosi giù da un dirupo a Somma Vesuviana.
Una storia, la sua, drammaticamente identica a quella di altri ragazzi, come Riccardo, 26 anni. Anche a lui mancavano degli esami, nonostante avesse annunciato la data della sua laurea in Scienze infermieristiche. Ma il giorno prima della festa, proprio come Diana, ha deciso di schiantarsi con la sua auto. Era lo scorso 28 novembre e sull’asfalto, tra Padova ed Abano Terme, non è stato trovato nessun segno di frenata. Storie che si ripetono.
Diana l’hanno cercata per tre giorni. Suo padre ha capito subito che qualcosa non tornava. Diana è una ragazza tranquilla, ha ripetuto ininterrottamente in queste ore. E così, quando ha iniziato a non rispondere alle sue telefonate, ha denunciato la sua scomparsa ai carabinieri, ha scritto nella chat dell’università, ha descritto come era vestita sua figlia l’ultima volta che era uscita da casa, ha fornito tutti i dettagli possibili. Dettagli come quelli degli ultimi messaggi whastapp che la ragazza ha inviato al papà. Dopo l’ennesima telefonata, Diana aveva scritto che si sarebbe recata in biblioteca dell’università Federico II, per ritirare la tesi, e che sarebbe rientrata a Somma Vesuviana con il treno delle 16 di Napoli. Ma su quel treno non è forse mai salita. E in quella biblioteca forse non è mai entrata, visto che nelle immagini delle telecamere dell’università il suo volto non compare mai. C’è stato, poi, l’ultimo messaggio: “Non posso parlare”. E dopo il silenzio, l’angoscia ed una borsetta nera attaccata ad una ringhiera. A pochi metri da quella borsetta, c’era il corpo di Diana. Un corpo, con i sogni morti dentro, come quello di Riccardo. Anche lui sapeva bene che il giorno dopo ci sarebbe stata la festa della sua laurea, l’esterno dell’abitazione era finanche già decorato con i fiocchi rossi. Ma quella laurea non avrebbe mai potuto conseguirla perché mancavano degli esami.
“Si sentiva in trappola” disse il padre Stefano quel giorno: qualche esame andato male, qualche difficoltà che lo avevano bloccato. Fino allo schianto contro un platano, lungo la via Romana Aponense, ad un chilometro da casa sua. E’ stato un messaggio di una amica di corso di Diana a far luce su quello che poteva esserci in fondo a quel dirupo: “Aveva raccontato che andava a ritirare la tesi, ma non doveva ancora laurearsi”. Da lì le indagini dei carabinieri e la scoperta del tassello che mancava a quei 27 anni di vita. “Se ci sono malesseri forti, vi chiediamo di segnalarceli – ha detto il rettore dell’Università “Federico II”, Matteo Lorito – non siamo solo erogatori di didattica ma vogliamo aiutare ancora i nostri più deboli e fragili. E’ una perdita enorme perché quando si spegne una giovane vita è sempre un fatto enorme”. “La vostra università uccide. Ci dispiace Diana”, ha scritto su uno striscione il Collettivo autorganizzato universitario. Intanto resta la morte, quella dei sogni di Diana e di Riccardo. (fonte Ansa)