La terribile eruzione del Vesuvio del 79 d.C. non avvenne fra il 24 e 25 agosto, come finora si riteneva, ma fra il 24 e il 25 ottobre.
Lo indica la ricerca, a guida italiana, pubblicata sulla rivista Earth-Science Reviews, che ha ricostruito tutte le fasi dell’eruzione, che diffuse le ceneri fino alla Grecia. Lo studio, che fornisce gli strumenti per mitigare il rischio di eventi simili, è stato pubblicato su Earth-Science Reviews e condotto da Ingv in collaborazione con Cnr-Igag,Università di Pisa, Laboratoire Magmas et Volcans di Clermont-Ferrand e Heriot-Watt University di Edimburgo.
Finora l’eruzione era stata datata nell’agosto del 79 d.C, sulla base della lettera di Plinio il Giovane a Tacito, ma a distanza di quasi 2.000 anni di ricerche sul campo, analisi in laboratorio e rilettura delle fonti storiche hanno permesso di ricostruire tutte le fasi di quell’evento. “Lo spirito principale del lavoro è stato raccogliere dati provenienti da fonti diverse fra loro”, ha detto all’Ansa il vulcanologo Mauro Antonio Di Vito, dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), che ha coordinato la ricerca.
“L’eruzione – ha aggiunto – è avvenuta in otto fasi” e “di ognuna abbiamo ricostruito le caratteristiche”. La prima, per esempio, molto violenta, ha sollevato una colonna alta fino a 8 chilometri, che diffuse il materiale piroclastico nelle zone vicine. Le ceneri caddero fino in Grecia e la caldera, collassando, generò altri fenomeni, come lo scorrimento flussi piroclastici ad alta densità e colate di fango.
La ricostruzione, la più dettagliata di sempre, apre la strada a nuovi fronti di ricerca su eventi simili e il risultato è stato ottenuto grazie alla collaborazione con Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr-Igag), Centro interdipartimentale per lo studio degli effetti del cambiamento climatico (Cirsec) dell’Università di Pisa, il francese Laboratoire Magmas et Volcans di Clermont-Ferrand e la School of Engineering and Physical Sciences (Eps) della Heriot-Watt University di Edimburgo.
“Fin dal XIII secolo, la data del 24 agosto è stata oggetto di dibattito fra storici, archeologi e geologi perché incongruente con numerose evidenze”, ha osservato Biagio Giaccio, dell’Igag-Cnr e coautore dell’articolo. Per esempio, ha detto ancora, restavano un punto interrogativo i “ritrovamenti, a Pompei, di frutta tipicamente autunnale o le tuniche pesanti indossate dagli abitanti, che mal si conciliavano con la data del 24-25 agosto”.
L’indizio più importante sull’inesattezza della data era emerso qualche anno fa: “Un’iscrizione in carboncino sul muro di un edificio di Pompei che, tradotta, cita ‘Il sedicesimo giorno prima delle calende di novembre, si abbandonava al cibo in modo smodato’, indicando che l’eruzione avvenne certamente dopo il 17 ottobre”, ha detto ancora Giaccio.
L’obiettivo principale di questo grande lavoro di ricostruzione è però “comprendere come un evento del passato possa rappresentare una finestra sul futuro, aprendo nuove prospettive per lo studio di eventi simili che potranno verificarsi un domani”, ha detto un altro autore della ricerca, il vulcanologo Domenico Doronzo, dell’Ingv. Per Di Vito questa ricostruzione “ci insegna molto sull’impatto che le eruzioni possono avere sul territorio”, “con questi studi riusciamo a infatti a conoscere ogni elemento che ha caratterizzato l’eruzione, fino a simulare quello che vedrebbe un satellite”.