COMIZIANO (Nello Lauro – Il Mattino) – Un angolo di paradiso diventato porta dell’inferno. Da ecosistema che ospitava poiane e altri uccelli rari a lago dei veleni. Prima era uno specchio d’acqua che aveva fatto sognare attività turistiche, adesso è poco più di un grosso pantano con la beffa di una barchetta che galleggia. Una situazione quella del lago di cava di Comiziano che ha avuto il suo acme nel 2018 quando nel mese di giugno ci furono 5 arresti (i 3 gestori della cava e due titolari di un’altra) con accuse pesantissime: traffico di rifiuti e tentato disastro ambientale, nonchè il sequestro dell’invaso, delle aziende, degli impianti e degli automezzi adibiti al trasporto. Un laghetto della profondità di circa 5 metri per una superficie di oltre 30mila metri quadrati nel quale sono stati sversati oltre 72500 tonnellate di rifiuti. Peraltro l’acqua contaminata del laghetto è stata anche utilizzata durante l’estate del 2017 per spegnere i devastanti incendi che hanno colpito le falde del Vesuvio con la conseguente contaminazione ambientale di zone protette. Audizione in consiglio regionale, consigli comunali monotematici, ordinanze sindacali. Tutta teoria. In pratica da allora nessuna messa in sicurezza e nessuna bonifica è stata effettuata nel sito, almeno dalle carte ufficiali. Due anni di silenzio rotti dall’intervento del comitato Respirare Pulito e dell’Isde, associazione medici per l’ambiente, guidati da Gennaro Allocca e Gennaro Esposito che hanno preparato un intero dossier sulla vicenda. Intanto il lago è stato quasi coperto del tutto da banchi di terreno: un’operazione che non è mai stata ufficialmente annunciata. Tra luglio ed agosto del 2017 l’Arpac aveva effettuato i prelievi nelle acque superficiali di falda della cava scoprendo un superamento dei livelli di concentrazione tollerati per sostanze pericolose: floruri, alluminio, cromo esavalente e tricloroetano. A preoccupare l’altissimo valore del cromo esavalente considerato uno degli inquinanti ambientali più pericolosi perché tossico, mutogeno e cancerogeno, molto solubile in acqua e dunque in grado di diffondersi in molte aree. Emerse anche la presenza di tricloroetano, mortale per gli insetti e pericolosissimo per il sistema nervoso dell’uomo. Poi non sono stati fatti più accertamenti se non nell’ultimo periodo: le analisi effettuate per due volte da un laboratorio sannita non sono del tutto comprensibili: si parla sì di una riduzione dell’inquinamento, ma i dati più importanti (cromo, cromo esavalente, floruri) non possono essere certificati dall’Accredia, unico ente nazionale designato dal governo italiano per attestare la competenza, l’indipendenza e l’imparzialità degli organismi di certificazione, ispezione e verifica, e dei laboratori di prova e taratura. In più senza il contraddittorio di altre analisi comparative dell’Arpac. Altra situazione da chiarire, e sarebbe sconcertante se fosse successo: le analisi (in realtà figurano come rapporti di prova) sarebbero state effettuate nel pozzo della cava che in teoria è ancora sotto sequestro. Una serie di incongruenze che ha mandato su tutte le furie gli ambientalisti: “Non è stata data esecuzione all’ordinanza sindacale ad horas del 2017 per ripristinare e bonificare i luoghi; la cava non ha presentato un piano di caratterizzazione. Tentare di occultare una bomba ecologica è come condannare senza appello le future generazioni” dice Gennaro Allocca.