La Gioconda? Leonardo la dipinse in fuga, a tappe, e il volto non rappresenta nessuna donna. Perché l’artista si trovò con un ritratto che non poteva più dare al committente e lo modificò in corso d’opera, fuggendo all’arrivo dei francesi a Milano, tra una corte e l’altra della penisola. E il volto della donna vera è invisibile, perché nascosto sotto la Gioconda del Louvre: si tratta di una donna milanese, Bianca Giovanna Sforza, la primogenita di Ludovico il Moro. La tesi e’ della studiosa Carla Glori che ha messo insieme i tasselli di un vero e proprio puzzle ripercorrendo la genesi e la storia di questo ritratto, pervenendo anche a identificare il paesaggio dipinto sullo sfondo da Leonardo. ”Sono molti i nomi oggi attribuiti alla Gioconda – dice all’Adnkronos – ma la Musa del Louvre non ha nome. La donna vera è nel ritratto sottostante. Ritengo che in origine la Gioconda fosse il ritratto nuziale di Bianca Sforza, signora di Voghera (il cui nome anagrafico in base a un atto del 1489 era Giovanna). Leonardo probabilmente iniziò a dipingerlo in Milano nel 1496 su duplice commissione del Moro (con prevedibile copia destinata al marito Galeazzo Sanseverino). Quel ritratto nuziale, poi non consegnato, è rimasto nelle mani del maestro per la morte misteriosa della giovane nel novembre dello stesso anno, cinque mesi dopo il suo matrimonio”. Quanto allo sfondo, se si osserva il quadro, spiega, “il paesaggio è fotografato da un preciso punto di vista nel castello di Bobbio, tale che abbraccia nel paesaggio reale una costellazione di dodici punti corrispondenti ad altrettanti punti dello sfondo dipinto”. Tesi avallata da una ricostruzione paesaggistica ”come il riconoscimento attraverso progetti e dipinti antichi del ponte Gobbo, che allora aveva cinque archi ed era rovinato, come quello dipinto; la scoperta in riflettografia di un suo arco nascosto che lo localizza esattamente; l’identificazione della natura dei rilievi montuosi quali tipiche ofioliti della finestra tettonica bobbiese, e molto altro, inclusa la verifica tecnica in 3D degli architetti Bellocchi di Piacenza”. Ma una prova che la modella originale del ritratto – quella viva e vera, per intenderci – era diversa da quella che noi vediamo al Louvre può essere individuata nella “ragione per cui Leonardo non ha consegnato al committente quel ritratto originale e lo ha trasformato successivamente fino a renderlo irriconoscibile”. Secondo la ricercatrice per Leonardo ”Sarebbe stato impossibile consegnare quel quadro al Moro, sconvolto per la morte di Beatrice a un mese da quella di Bianca” e infine il maestro se lo sarebbe portato via ”in fuga da una Milano invasa dai francesi, nel 1499 ”. La teoria della Glori, si è rivelata predittiva alla luce delle scoperte di Pascal Cotte del 2015. ”La donna del ritratto sottostante la Gioconda -spiega la ricercatrice- che lo scienziato parigino ha ricostruito virtualmente “in vitro”, e che potrebbe definirsi “la figura-ombra della Gioconda generata da un algoritmo” è verosimilmente una quindicenne, e nell’insieme denota una certa purezza. Si direbbe quasi che lo scienziato le abbia restituito un’aura malinconica e aristocratica, ma ovviamente si tratta di un identikit del genere di quelli che si usano in campo forense, che consente una identificazione con buona approssimazione di quel volto e della figura nascosti”. E quanto al fatto se sia o non sia una ricostruzione totalmente fedele dei tratti di Bianca, la studiosa si limita a osservare che “sicuramente le misurazioni e i test di Cotte, e la conseguente analisi e interpretazione dei dati, ci restituiscono “con buona approssimazione” una ricostruzione fedele della fisionomia della modella originale, che risulta diversa da quella della modella del Louvre: “Ecco, io credo che lui ci abbia consegnato l’identikit virtuale di un bellissimo “fantasma”, ricostruito, in modo rigoroso, su basi scientifico-tecnologiche, ed è esclusivamente su questo piano, prettamente scientifico, che la sua scoperta potrà essere messa in discussione”. ”Anche se la mia tesi assomiglia a un romanzo giallo con sfumature vagamente gotiche, si tratta di una teoria scientifica elaborata in modo da permetterne confutazione e falsificazione (per quanto possibile in arte). Sotto questo aspetto, la mia ricerca era già integralmente predisposta a recepire le scoperte dello scienziato parigino. D’altra parte quello delle indagini multispettrali applicate all’arte è ormai un settore in continua evoluzione. Mentre la fotografia infrarossa, già dagli anni Cinquanta, è considerata un’analisi tradizionale di routine, il sistema multispettrale offre la possibilità di rivelare aspetti preclusi alle tecniche tradizionali, consentendo la leggibilità e la “ricreazione” dell’opera in modo virtuale”. Si può dire dunque che il volto della Gioconda ricostruito da Cotte corrisponde a un ritratto che non esiste? “Mi sono occupata recentemente del Portrait de femme di Degas della National Gallery di Melbourne, ponendolo in relazione con la Gioconda. Ebbene, non possiamo certo dire che anche in quel caso il “ritratto sottostante” (come in numerosi altri casi analoghi, riguardanti grandi opere d’arte) non esista. L’ opera precedente, “nascosta” sotto l’opera che l’artista ha voluto consegnarci, è indubbiamente esistita e l’autore per varie ragioni ha deciso di cancellarla e di rifarne una “sopra”. Ma nel caso di Leonardo” il rifacimento è in realtà una trasformazione, che in qualche modo preserva l’opera preesistente. Lui realizza una metamorfosi e per così dire rigenera alchemicamente la modella originaria, crea un essere nuovo a partire da quell’archetipo. La memoria della “prima modella” continua a vivere nel ritratto che ora noi vediamo (per l’evidente affinità dei tratti somatici, per la conservazione di vari particolari, ad esempio, del disegno dei vinci sulla scollatura e, io suppongo – restando in attesa di report scientifico – pure del paesaggio dello sfondo)”. Per giunta, secondo la ricercatrice, le scoperte di Cotte si coniugano con l’ ipotesi del ritratto nuziale della giovane, perché, ”in uno dei primi disegni da lui scoperti con tecnologia multispettrale negli strati profondi, la modella portava una acconciatura ornata con spilloni, il che suggerisce che potesse trattarsi di un disegno preparatorio della giovane Sforza in abito da sposa, poi ritratta con l’abito sobrio che vediamo nella ricostruzione di Cotte”. Inoltre la studiosa prospetta l’ipotesi che la sagoma più “robusta”, che lo scienziato individua dai pochi lacerti rilevati in un abbozzo iniziale poi cancellato, sia probabilmente ”dovuta alla posa di un modello maschile nudo, come si usava all’epoca nelle botteghe, dato che molti maestri usavano modelli nudi per l’impostazione della figura e della posa e per far sì che gli abiti rispettassero la forma del corpo”. In questa teoria, tutta incentrata su Milano e l’Oltrepo piacentino e pavese, ”possiamo rintracciare -sottolinea Glori- un filo sotteso di continuità nel processo di trasformazione della giovane del primo ritratto nascosto nell’altra misteriosa modella chiamata Gioconda che vediamo al Louvre. Il ritratto finale – a cui è da riconoscersi importanza capitale ed esclusiva dal punto di vista artistico/pittorico – è la risultante di un processo creativo che la macchina multispettrale ci consente di ripercorrere come in un viaggio all’indietro nel tempo”. D’altra parte, come tiene a sottolineare la ricercatrice, ”Leonardo, che cura nei minimi dettagli il valore dei significati e dei simboli, non avrebbe mai banalizzato e svilito la sua opera, sostituendo la modella del quadro con un’altra, come un oggetto intercambiabile, pensarlo significherebbe tradire il senso del suo lavoro in arte e le teorie del suo trattato della Pittura, e in particolare sminuire il valore artistico della Gioconda a livello di un banale remake”. (adnkronos)