domenica, Novembre 24, 2024
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Camorra, Vallo di Lauro blindato per i funerali del boss Biagio Cava

QUINDICI (Bianca Bianco Il Mattino) – Un addio blindato per il boss Biagio Cava. Funerali vietati per motivi di ordine pubblico, il commiato alla ex primula rossa del Vallo di Lauro avverrà questa mattina in forma strettamente privata presso il cimitero di Quindici. Discreta ma importante la presenza di forze dell’ordine per monitorare un evento che segna la fine di un’era per la camorra locale ed apre inevitabilmente nuovi preoccupanti scenari. Carabinieri e polizia vigileranno all’esterno e negli snodi più a rischio: uomini in divisa posti a presidio di un territorio che sta vivendo mesi di tensione, tra rigurgiti di malavita ed interventi delle istituzioni. Non trova pace, il Vallo di Lauro, e la morte di “Biagino”, colui che ha gestito la famiglia- clan negli anni più bui, quelli della faida, delle stragi e dei lutti familiari, mette dinanzi all’incognita della successione. Biagio Cava lo scorso 16 ottobre aveva compiuto 62 anni, da settembre gli erano stati concessi gli arresti domiciliari e di poter così morire tra i suoi, nei luoghi in cui era nato, ormai devastato da un cancro al cervello che aveva portato con sé complicazioni anche al cuore. La malattia implacabile lo aveva liberato dall’inferno del carcere duro che scontava a Sassari dopo l’arresto avvenuto nel 2006 e la condanna a trent’anni per associazione mafiosa. Mercoledì sera, intorno alle 19,30 e dopo la seconda operazione al cuore cui i sanitari avevano deciso di sottoporlo, si è spento all’ospedale Cardarelli di Napoli. La salma è stata restituita alla famiglia ieri pomeriggio, come da prassi dopo l’esame autoptico. Subito dopo è partita la task force delle forze dell’ordine per assicurare che l’addio a Cava non dia luogo a momenti di tensione. Intorno alla bara che sarà trasportata presso la sala mortuaria del cimitero di Quindici alle 10 direttamente da Napoli ci saranno i familiari più stretti, le donne come la moglie e la figlia superstiti della strage del 2002 in cui perse la vita Clarissa, appena sedicenne ed adorata dal padre, la sorella e la cognata. Ieri mattina nel paesino di meno di tremila anime che ha purtroppo legato il suo nome alla sanguinosa guerra tra Cava e Graziano sin dagli anni 80 e che sconta fibrillazioni criminali che impediscono di sgravarsi dal peso del pregiudizio, una pioggia insistente ha fatto da naturale scenografia al lutto dei Cava. “In paese non si parla d’altro- commenta qualcuno, uno dei pochi che rompe il silenzio-. Si sapeva delle condizioni di Biagio e si attendeva la notizia da un momento all’altro. Qui nessuno dà giudizi, né nel bene né nel male, perché la morte va sempre rispettata”. La famiglia dell’ex boss era di certo preparata al divieto di funerali pubblici e dinanzi un altare: l’ultimo saluto avverrà in tempi stretti e con la sola benedizione della salma. Così prevedono le prescrizioni di ordine pubblico, così impone pure la Chiesa che non apre più le sue porte a chi in vita ha portato il marchio della camorra. Una camorra che qui nel Vallo non ha risparmiato morte e terrore e che si staglia ancora come un’ombra incombente sui destini futuri della comunità. Lo dice e scrive la giovanissima referente provinciale di “Libera” Avellino Emilia Noviello: “Non è nostro compito quello di commentare la morte di un uomo, ma non possiamo sottrarci ad una riflessione in merito, perché la sua storia è direttamente implicata nella lunga guerra di camorra cui il nostro territorio ha assistito. Una lunga guerra che ha coinvolto molte persone innocenti. Ed è a loro e ai loro familiari che va il nostro pensiero più sincero in questo momento. La morte di Biagio Cava non può sollevarci, perchè è morto un boss di camorra, ma non è venuta meno la camorra nel nostro territorio. La nostra attenzione deve, oggi, essere più vigile e viva che mai. I fatti ci narrano di una presenza ancora forte della criminalità organizzata ed è questo che deve preoccuparci. Ed è rispetto a questo che dobbiamo, non solo indignarci, ma organizzare la nostra indignazione”.

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