giovedì, Novembre 21, 2024
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Tumori, una penna li scopre in 10 secondi

Da oggi bastano 10 secondi per scoprire se si è affetti da cancro. Tutto ciò grazie a una penna capace di analizzare i tessuti biologici e riconoscere un tumore in soli 10 secondi. Sperimentata nei topi, la penna ha dimostrato di essere 150 volte più veloce rispetto alle attuali tecnologie e di dare risultati accurati al 96%. Tanto che i ricercatori contano di sperimentarla nell’uomo a partire dal 2018, negli interventi di chirurgia per la rimozione dei tumori. La penna può essere molto utile ai chirurghi per avere informazioni diagnostiche precise e in tempo reale su quale tessuto rimuovere o conservare, migliorando la terapia e riducendo le probabilità di recidive. Riconosce le molecole chiamate metaboliti, prodotte dalle cellule viventi, sia sane che cancerose, e che hanno funzioni molti importanti, come produrre energia e rimuovere le tossine. Ogni forma di tumore produce dei metaboliti particolare, come una sorta di firma molecolare. Dopo aver analizzato i campioni dei tessuti tumorali di 253 pazienti (polmone, ovaie, tiroide e seno), i ricercatori sono riusciti a sviluppare un ‘profilo molecolare’, arrivando così a identificare i tumori con un’accuratezza del 96%. La penna riesce a estrarre le molecole dal tessuto con pochissima acqua, e le trasferisce attraverso un tubo flessibile allo spettrometro di massa, che calcola la massa delle molecole presenti nel campione. Il risultato compare dopo qualche secondo sullo schermo di un computer, a volte indicando anche il nome del sottotipo di tumore. La penna, dotata di una punta stampata in 3D con un materiale biocompatibile, è stata testata anche su topi viventi, riuscendo a identificare i tumori in modo affidabile e senza danneggiare i tessuti sani. È infatti importante non rimuovere troppo tessuto sano, durante la chirurgia, per non provocare effetti collaterali ai pazienti, come danni ai nervi o ai muscoli. Il risultato, evidenzia Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, pubblicato sulla rivista Science Translational Medicine, è stato ottenuto nell’università del Texas ad Austin, dal gruppo della brasiliana Livia Schiavinato Eberlin.

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