domenica, Novembre 24, 2024
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Il supervulcano più pericoloso d’Europa sono i Campi Flegrei

Campi Flegrei dall'alto (fonte foto NASA)
Campi Flegrei dall’alto (fonte foto NASA)

POZZUOLI- (Ansa) Ottenuto il primo identikit del supervulcano più pericoloso d’Europa e fra i più temuti del mondo: è quello dei Campi Flegrei a Napoli, esplorato per la prima volta grazie a una perforazione di 500 metri. I primi risultati dell’esplorazione sono stati presentati a Napoli.
È stato scoperto per esempio che l’area delle bocche del vulcano, la cosiddetta caldera, si estende da Monte di Procida a Posillipo e non comprende tutta Napoli come pensato finora. Inoltre i ricercatori hanno compreso meglio il ‘motore’ del bradisismo, che nell’area fa sollevare o abbassare il suolo: ”il fenomeno è causato per il 50% dal magma e al 50% dall’acqua nelle rocce’ ha spiegato Giuseppe De Natale, direttore dell’Osservatorio Vesuviano dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv). In pratica, ha proseguito ”il magma sale fino a 5-6 chilometri e riscalda l’acqua che fa gonfiare le rocce provocando il sollevamento del suolo”.
Il supervulcano dei Campi Flegrei è capace di eruzioni molto violente ma per fortuna molto rare, nel mondo esistono circa dieci vulcani di questo tipo, come per esempio Yellowstone e Long Valley Caldera negli Stati Uniti. Per studiarlo dall’interno, nel 2012 è stata avviata una perforazione nell’ambito del progetto ”Campi Flegrei Deep Drilling Project”, guidato dall’Ingv e finanziato dal Consorzio internazionale per le perforazioni profonde continentali. Il progetto prevede un primo pozzo pilota di 500 metri già realizzato a Bagnoli e un secondo di 3,5 chilometri ancora da realizzare. Nel pozzo pilota è stato installato un osservatorio in profondità con sensori che controllano ogni ‘respiro’ del vulcano: dalla temperatura alla sismicità. ”In questo modo – ha sottolineato De Natale – teniamo costantemente sotto controllo il vulcano con l’obiettivo di studiarlo e di mitigare il rischio”. I segnali di allarme che possono aiutare a prevedere una eventuale eruzione, ha rilevato il vulcanologo Mauro Antonio Di Vito, sono temperatura, pressione del sottosuolo e sismicità.
Il pozzo è anche una sorta di ‘macchina del tempo’ che ha permesso ricostruire la storia di questo vulcano fino a 45.000 anni fa, rivelando molte sorprese, fra le quali, ha detto De Natale ”una eruzione avvenuta 45.000 anni e finora sconosciuta”.

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