di Bianca Bianco “Se devi raccontare una storia, comincia dal centro” dice il papà della protagonista. Bene, il centro di “Siamo tutti completamente fuori di noi” è a pagina 250. Se qualcuno si stufa di attendere un colpo di scena che si intuisce già da pagina 20, parta pure di lì. E scusate se ho fatto spoiler.
Stimolata da una recensione sul quotidiano “Repubblica” (non capiterà mai più) ho deciso di acquistare l’ultimo premiatissimo libro di Karen Joy Fowler, autrice dell’osannato “Il club di Jane Austen”. Una storia che vuole essere commovente che tuttavia non è riuscita a commuovermi. Un racconto della crudeltà degli esperimenti sugli animali che, perdonatemi, non mi ha contagiato empatia per le povere bestiole. Non sono un mostro, e spiego perché.
La trama, raccontata a partire dal centro della storia come la protagonista ripete perlomeno seicento volte, è semplice. La piccola Rosemary Cooke, cinque anni, viene spedita dai genitori dai nonni per due settimane. Al ritorno scopre che la sorella Ferd è scomparsa. Dopo qualche capitolo scopriamo quello che abbiamo fatto finta di non capire da prima: Fern è uno scimpanzè ed è stata allontanata dalla “famiglia” umana dopo 5 anni in cui ha vissuto in pratica da gemella con Rosemary per un esperimento scientifico. L’addio dell’animale è un trauma per tutti. Un trauma così profondo che il fratello di Rosemary (stavolta umano) decide cinque anni dopo di scappare e non tornare mai più a casa. Per far che? L’eco-terrorista un po’ folle ricercato dall’Fbi , scelta di vita dovuta al dolore per la perdita della sorella-scimmia Fern. Il prologo della storia è alternato al racconto della vita attuale di Rosemary, universitaria disadattata e solitaria in balia di una sofferenza profonda che non riesce a venire a galla e le angustia la vita impedendole di avere amici e prendere le cose con più leggerezza. Una sofferenza spiegata, appunto, a pagina 250 con un colpo di scena che mi ha fatto ridere un bel po’. Per non anticiparlo dico solo che chiunque, a 22 anni, sarebbe capace di capire che vivere con un animale della jungla comporta anche la sottomissione alle regole della jungla.
Il resto è la disamina delle torture inflitte agli animali da laboratorio. Descrizioni a volte disturbanti che, lo ammetto, fanno riflettere sulla crudeltà della vivisezione. Ma nello stesso tempo mancano di un passaggio importante, quello relativo all’interrogativo cruciale sull’importanza della vivisezione per alcune branche della scienza e della medicina. Non sono affatto una sostenitrice della sperimentazione animale, ma il fanatismo (che traspare anche dalle pagine della Fowler) non mi piace.
“Siamo tutti completamente fuori di noi” è un libro godibile. La lettura scorre veloce, la trama- come accade fin troppo spesso ultimamente- sembra già scritta per il cinema. A volte fa sorridere, a volte commuove. Pur riconoscendone la potenza descrittiva (soprattutto sulla Rosemary sbandata della fine degli anni 90) non mi ha trascinato come speravo. Forse anche colpa dei troppi flashback e della cercata confusione dell’autrice nella narrazione. Mi è apparso un romanzo ambizioso anche se non solenne, che ha quasi centrato l’obiettivo di indagare il rapporto uomo-scimmia ma non quello di dipanare la matassa del racconto dosando suspence e colpi di scena. A pagina 20, o giù di lì, è già tutto scritto.