giovedì, Dicembre 26, 2024
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L’eternità del mito sul palco del festival di Casamarciano, il recital di Albertazzi è storia del teatro

CASAMARCIANO-(di Bianca Bianco)  La cultura si inchina al mito. Il mito ed eroe dell’arte italiana, oggi quanto mai svilita, resta lui, Giorgio Albertazzi. Attore dalla fibra d’acciaio, classe 1923 forgiata nel fuoco (sacro) ed oggi monumento vivente alla recitazione, alla prosa, alla poesia ed all’umiltà. Quella che a 91 anni ti porta in scena, abito scuro e luci dirette sul viso, per regalare i tuoi anni e la tua storia artistica al pubblico.

 

Albertazzi è un re sul palcoscenico, lo ha mostrato sulle scarne scene del palco del IV festival del teatro di Casamarciano- Borghi e castelli in scena. Un’ora e mezzo di one man show, un modello di spettacolo che proprio lui ha portato in Italia negli anni Sessanta; un monologo che ci si aspettava, visti gli allori della sua carriera, a distanza siderale dalla complicità con la platea, magari chiuso nel regno raffinato ed egocentrico dei grandi artisti. E invece.

 

E invece l’intero spettacolo è stato una conversazione aperta con la memoria e con la platea, un flusso di coscienza in cui l’Attore con la a maiuscola ha interrotto spesso il copione (ormai scritto solo nelle sue vene di istrione e su pochi fogli letti  come promemoria) per lanciare sguardi e messaggi complici a chi lo ascoltava, per scendere dal piedistallo su cui noi tutti  lo poniamo e spezzare la silenziosa attenzione del pubblico con aneddoti personali, divagazioni su temi d’attualità, divertenti parentesi. Senza mai perdere veramente il filo della narrazione.

 

Albertazzi è arrivato a Casamarciano come ospite di questa edizione del festival che ha avuto nel grande maestro il suo “colpo di teatro” più importante. Dinanzi la chiesa badiale di Santa Maria del Plesco ha recitato “Miti ed eroi”, monologo con cui sta girando l’Italia. Accompagnato dalla fisarmonica del maestro Davide Cavuti, vestito di scuro con l’immancabile ascot di seta, un borsalino  ed una sciarpa rosa che sarà poi usata come unico elemento di scena, ha intrattenuto la platea per un’ora e mezza spaziando nel suo repertorio classico e moderno con sorprendente lucidità e una recitazione oggi rara. Con lui si sono materializzati per una sera nel piccolo borgo di Santa Maria l’Ulisse di Dante e il Marco Antonio di Shakespeare, D’Annunzio e Lorenzo de’ Medici in un intreccio sottilissimo tra miti del mondo antico e della poesia, tra eroi che superano le colonne d’Ercole ed eroi che superano il tempo per giungere a noi attraverso la voce tonante di Albertazzi: ancora emozionanti, ancora vivi.

 

Ascoltare Albertazzi mette i brividi. La sua interpretazione magnetica, il carisma che irradia dal palco, la solida dizione da vero attore, le pause che riempiono come vertigini, il suo corpo che recupera vigore con un solo gesto, sono un patrimonio dell’arte italiana che per una sera è stato condiviso da Casamarciano, piccolo comune che “si fa grande grazie ad un grande artista” come ha dichiarato il sindaco Andrea Manzi. Lo spettacolo è durato il tempo che ha permesso di ammirare un mostro sacro nella sua impareggiabile maestria e nella sua semplicità. Una semplicità che gli ha consentito (unico tra gli artisti finora esibitisi sul palco) non solo di pronunciarsi in complimenti per la cornice di Santa Maria del Plesco, che basta da sola a fare da proscenio, ma anche di spiegare sinceramente colpito quanto appreso sulla storia degli “Scenari” Casamarciano, il repertorio di canovacci della commedia dell’arte composti dal conte Annibale Sersale proprio qui e riscoperti da Benedetto Croce: “Forse Arlecchino è nato qui”.

 

Il resto dello spettacolo è puro istrionismo da mattatore delle scene. Albertazzi spiega in poche parole il teatro (“archeologia della parola”), la bellezza (“armonia delle imperfezioni”), la recitazione (“chi impara a memoria è inespressivo”), la vecchiaia (“la vita è qui, adesso, davanti a voi: la vecchiaia non esiste”); smonta le “attricette” di oggi con ironia pungente, narra divertenti aneddoti su vecchie glorie come Laurence Olivier e Gino Cervi, parla di femminicidio e si muove a ritmo di tango (“la mia musica preferita”), mischia il profano dell’attualità con il sacro delle sue interpretazioni di versi immortali. Immortali come lui.

Guarda la gallery della serata (clicca sulle foto per ingrandirle): 

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