MONTEFORTE IRPINO (di Bianca Bianco- Il Mattino) Delle urla di quella notte, della concitazione, della disperazione, non resta più nulla. Solo silenzio ad Acqualonga. Un anno dopo, a 365 giorni esatti dalla più terribile tragedia su strada vissuta dall’Italia, il vuoto spaventoso da cui occhi impauriti si affacciarono quella domenica per osservare la morte è coperto da una striscia di cemento più solida. Una barriera costruita anche dall’indignazione e dalla collera e che la sera del 28 luglio venne giù sbriciolandosi, squarciata dall’impatto con l’autobus dei pellegrini di Pozzuoli finiti nella traiettoria del destino dopo la gita a Telese e Pietrelcina. Il tramonto aveva da poco risucchiato luci e colori quando il pullman perse il controllo finendo contro il new jearsey del viadotto di Acqualonga, al chilometro 33 della A16; un disperato tentativo di deviare la direttrice impazzita del mezzo che aveva perso i freni poche centinaia di metri prima, l’eroica gimcana dell’autista tra le auto di vacanzieri poi il volo e la caduta nel rado boschetto che resiste sotto i piloni dell’autostrada.
Acqualonga un anno dopo, della tragedia del viadotto resta solo una preghiera silenziosa
Chi si trovò quella sera sul luogo dell’incidente, i cronisti che arrivarono poco dopo, le forze dell’ordine, puntarono gli occhi sull’enorme squarcio aperto dall’autobus lungo la striscia del guard rail. Era la visione di una dimensione parallela, quella che prendeva forma trenta metri più in basso: sopra il caldo asfissiante, la vita, le luci blu dei vigili del fuoco e della polizia, il silenzio inebetito di chi sapeva di avere assistito in diretta al martirio dei poveri passeggeri del pullman diventato bara.
Sotto le urla, il groviglio di corpi smembrati dalla violenza della caduta, i disperati tentativi dei soccorritori di portare aiuto ai superstiti. Fu una notte lunga, quella di Acqualonga. All’alba 38 corpi allineati sull’asfalto della provinciale Monteforte- Taurano, che in seguito divennero quaranta vittime di un dramma assurdo e, si scopre oggi grazie alle indagini ed alle perizie, evitabile.
Un anno dopo, della feroce fine della spensierata comitiva puteolana resta un ricordo ogni giorno più sbiadito sotto i piloni di Acqualonga. Mano gentili hanno preservato questo luogo e l’hanno ripulito dopo l’ultima piccola frana, di quelle che su questa strada che unisce la Bassa Irpinia al Vallo di Lauro sono all’ordine del giorno. L’ultimo temporale di giugno aveva inondato di fango l’angolo delle memoria della tragedia improvvisato sotto l’olmo secolare. L’erba tagliata intorno a noccioli rachitici, l’ordine dell’altare dedicato ai morti straziati i cui visi si affacciano oggi da foto e “pagelline” funebri, la dignità di questo luogo diventato santo dinanzi al quale gli automobilisti fanno un rispettoso segno della croce come si usa dinanzi i cimiteri: tutto rimanda alla tragedia, ma nulla alla disperazione della notte del 28 luglio. Il santuario di Acqualonga è già un posto dimenticato e solitario, come un’antica edicola votiva di cui si è persa la memoria.
Si prega in silenzio dinanzi i pezzi dell’esistenza normale dei quaranta morti (due ciabatte spaiate, un cappellino, un giubbotto, un cane di plastica, un kit da viaggio in una lingua dell’est) e gli omaggi di anime pie (come il bastone di Medjugorje appoggiato all’olmo), ma l’effetto è di straniante e straziante lontananza dalle scioccante cronache dell’estate del duemilatredici. A riportare i rari visitatori alla cruda realtà di quella fine di luglio sanguinosa, il costante rimbombo delle auto sul viadotto che oggi è protetto da un new jearsey nuovo di zecca ed un’alta rete. Gli automobilisti sfrecciano veloci e spesso ignari della tragedia che si è consumata in quel punto un anno fa. Transitano e a volte maledicono gli eterni lavori e rallentamenti su questa autostrada che ha pianto molti morti. Quaranta di questi si sono immolati dodici mesi fa, inconsapevolmente, anche per loro e per restituire, senza averlo mai preteso, sicurezza a questa lingua d’asfalto su cui scivolarono e si infransero i loro destini.