di Bianca Bianco
MONTEFORTE IRPINO. Capodanno ad Acqualonga. Cinque mesi fa, sotto questo viadotto dell’autostrada A16 la tragedia prese le forme della carcassa di un pullman turistico. Quaranta morti, schiantatisi dopo la corsa senza freni dell’autobus, finiti in un boschetto che costeggia la strada che collega la Bassa Irpinia al Vallo di Lauro. Un dramma mai vissuto in Italia, una strage impressa nelle cronache e nella memoria collettiva. Soprattutto quella degli irpini che vissero la più grande tragedia sulla strada nella storia nazionale.
Era il 28 luglio, una tranquilla domenica sera in piena estate. A cinque mesi da quella notte di fari e disperate ricerche di superstiti, siamo tornati al ‘cimitero’ di Acqualonga, sulla striscia d’asfalto che s’intrise del sangue delle vittime e delle urla dei soccorritori. Il camposanto di anime strappate alla vita dal volo del bus oggi è un tetro santuario, un altare solitario che il raro passaggio di auto sulla Monteforte- Taurano illumina fiocamente la sera e la notte. Il dolore, la commozione, che spinsero chi abita nella zona e i parenti delle vittime a dare a questo luogo maledetto segnali di fede e di ricordo degli scomparsi, oggi danno vita ad un ordinato reliquario, una coerente sequela di simboli religiosi e personali, cui fanno luce i lumini. Una volta sparsi sotto l’olmo che non arrestò la corsa dell’autobus, oggi deposti in un altare triangolare. Coroncine e croci di lampadine, le luci eterne dei cimitero, rendono questo spazio segnato dalla tragedia una tomba per 40 corpi che non ci sono più.
Arriviamo la sera del primo gennaio ad Acqualonga. Perché la storia di questo posto, e quelle delle sue vittime, sono ormai un tassello delle nostre vite. Il buio avvolge, il silenzio impedisce di pensare. Non c’è nessuno, quando arriviamo noi, al cospetto del camposanto d’Acqualonga. Solo i fari di un’auto di passaggio. L’altare è curato, i fiori freschi, lumini e luci allineati ed ordinati. Si intuisce la mano premurosa di chi amava o ha imparato nella tragedia ad amare i poveri morti del viadotto. Ma si intuisce anche molta solitudine, in questo avamposto dell’inferno sulla terra.
Acqualonga è diventato un monumento funerario. E come tutte le steli funebri col tempo diventerà solo la macabra pietra miliare a segnare il passo del viaggiatore. Della carne viva e delle grida, dei lamenti soffocati di Alice in braccio alla povera nonna e della corsa disperata dell’eroico soccorritore Elio, delle mani insanguinate di vigili del fuoco, carabinieri e volontari, e dell’apnea spettrale in cui cadde il mondo intero in quella caldissima serata di fine luglio, non sembra essere rimasto già nulla.